Nokturnal Mortum – “To Lunar Poetry” (2022)

Artist: Nokturnal Mortum
Title: To Lunar Poetry
Label: Oriana Music
Year: 2022
Genre: Symphonic/Folk Black Metal
Country: Ucraina

Tracklist:
1. “Freezing Dreams (Intro)”
2. “Lunar Poetry”
3. “Perun’s Celestial Silver”
4. “Carpathian Mysteries”
5. “…And Winter Becomes”
6. “Return Of The Vampire Lord”
7. “Ancient Nation”
8. “Autodafe (Ode To Nonconformity)”
9. “Barbarian Dreams (Outro)”

Vi è una qualche innegabile tradizione nella rivisitazione del proprio vecchio materiale all’interno dell’ambito Black Metal europeo, ma nei paesi di cultura slava in particolare: possa infatti bastare un’occhiata anche corsiva alla sola discografia maggiore e comunque sconfinata di un autore come il polacco Rob Darken nei suoi Graveland, per notare come una buona metà soprattutto recente di questa sconfinatezza sia in realtà imputabile proprio alla quantità sorprendente (nonché direttamente proporzionale ad una qualità troppo sovente davvero molto dubbia) della riscrittura e nuova registrazione -completa o meno- di vecchi dischi. Il nume tutelare della scuola polacca non è tuttavia assolutamente l’unico ad aver mostrato negli ultimi venticinque anni buoni di underground est-europeo una certa propensione -quando non un vero e proprio pallino- per la riscoperta e riproposizione delle proprie antichità  musicali senza che il più delle volte ve ne fosse il minimo bisogno, né la più vaga richiesta; anche perché va senz’altro ammesso che l’operazione, peraltro raramente gradita dai fan, almeno per come abbiamo imparato a conoscerla in anni di ascolti di questa musica nello specifico, sia nella maggioranza dei casi solamente un malcelato pretesto per artisti maturati, o presunti cresciuti, al fine di lavarsi la coscienza da qualche scivolone di vecchia data – spesso non solo tale unicamente nella loro visione interna di creatori, in un certo senso limitata (inevitabilmente distorta dal cammino compiuto in anni di personale evoluzione), ma troppe volte, in ogni caso, impossibile da correggere, da riportare e far rivivere come nulla fosse nell’attualità del momento presente, come se l’estrapolazione potesse non portare alcuna differenza che non sia esclusivamente tecnica e dunque positiva, e senza privarla di quel suo zeitgeist artistico di contorno che può o meno averne fatto la fortuna all’uscita. Che può, ovverosia, avergli donato il suo stesso spirito.

Il logo della band

Ogni imperfezione ha, insomma, in fondo il suo carico di storia; ogni ingenuità, ogni stonatura, ogni errore e ognuno di quegli scivoloni di cui sopra è, lo sappiamo fin troppo bene, in realtà più spesso che no un motivo di carattere irripetibile ed irreplicabile nell’economia della riuscita complessiva di un lavoro in studio. Spesso e volentieri un difetto, una manchevolezza, ha affondato il suo uncino arrugginito nell’anima dettando un acquisto. Prova schiacciante sul banco degli imputati di questo bizzarro processo al diavolo potrebbe essere d’altro canto il fatto, pressoché inconfutabile, per cui resta abbastanza impossibile che un disco composto di ottima musica venga reso pessimo (o tale da non essere compreso almeno da una cerchia di estimatori) per via o di una produzione non all’altezza o di veri scempi dietro alla consolle, di qualsivoglia tipo. Al contrario, la migliore delle rese sonore possibili (o, per meglio dire, la più adatta – in quanto veicolo per la trasmissione o abito per la giusta occasione, se vogliamo) non potrà mai e poi mai sostituire il compito che devono in primo ed ultimo luogo svolgere delle grandi canzoni.
Volendo tuttavia spostarci finalmente dal generale al singolare, in questo senso, non può sorprendere che una band dalla caratura fin dagli esordi superiore come può essere quella dei Nokturnal Mortum si approcci anche solo all’idea del rinnovamento in una maniera diametralmente diversa ai moltissimi colleghi e connazionali, o corregionali, che hanno fatto tutti insieme di questa riscrittura una vera e propria tradizione culturale. S’è infatti vero che questa propensione alla pubblicazione di versioni nuove, migliorate o alternative che siano, va nell’area geografica ben oltre la parallela tradizione del genere tutto al miglioramento e la conseguente inclusione (a titolo possibilmente esemplificativo) dei brani demo nei successivi full, e che qui, così dilatata, ha piuttosto le sue ovvie (e socialmente comprensibilissime) radici nella volontà di far splendere finalmente le potenzialità di una scrittura strabordano oltre quei limiti tecnici che non tarpavano le ali invece di altri e più ricchi o sviluppati paesi negli anni ‘90 (tre su tutti: Norvegia, Svezia e Finlandia) rispetto all’est Europa appena uscito dall’esperienza federal-sovietica, va anche ed altrettanto riconosciuto con evidenza come mai ne siano state delle sconosciute nemmeno alcune tra le migliori stelle del panorama slavo tutto e ucraino in particolare. Tra queste proprio i Nokturnal Mortum che, forti di una line-up rinnovata nel ritrovo di alcuni componenti che hanno fatto non casualmente la storia più remota della band nella creazione dei lavori che intercorrono tra l’ultimo demo “Lunar Poetry” ed il secondo full-length “To The Gates Of Blasphemous Fire”, decidono nel 2021 e nella sorpresa generale di ricreare un ponte analogico con il proprio nastro del 1996. Per la prima volta, anche nel loro caso, la tendenza è quindi esplicitata. Ma a ben vedere, volendolo, gli esempi che precedono genealogicamente l’operazione si possono sprecare abbondantemente: dalla più ovvia doppia edizione e versione di un lavoro percepito nel 2005 dalla band come un manifesto espressivo (il “Weltanschauung” realizzato non nella sua sola versione in lingua madre del 2004, cioè “Мировоззрение”, ma anche rilavorato per adattare la musica alle liriche in lingua inglese per gli ascoltatori fuori dai confini nazionali), a sua volta anticipato dalle terze versioni alternative di brani nel mini “The Taste Of Victory”, passando per le versioni di “On The Moonlight Path” e “Cheremosh” dell’EP “Marble Moon” (1997) finite nella compilation comprensiva di “Return Of The Vampire Lord” (“Return Of The Vampire Lord / Marble Moon”, 2001) e riproposte con nuova ferocia nel secondo full-length del 1998, finendo con la riregistrazione del classico “Perun’s Celestial Silver” (già ascoltabile nell’originale “Lunar Poetry”) quale nuova conclusione iper-adrenalinica per lo spartiacque “NeChrist” (1999).
“To Lunar Poetry” è quindi esattamente anche questo, tra le altre e nondimeno trascurabili cose: la volontà non tanto di suonare nuovamente del vecchio materiale producendolo meglio, con mezzi superiori (cosa che pure inevitabilmente avviene, benché per pura circostanza), bensì quella di tenere legata in sé un’intera produzione e di trovare sempre il mezzo più efficace per comunicarla, per comunicare; facendo dialogare l’interezza del proprio catalogo affinché questo dimostri di poter sempre vivere nel presente a prescindere da qualunque evoluzione e rivoluzione esteriore, stilistica e poetica se è il caso – a prescindere da qualunque estetica voglia incarnare il gruppo capitanato dallo Knjaz Varggoth nell’hic et nunc.

La band

Si ha inequivocabilmente una risposta chiara, una volta seguito il percorso logico come ascoltando l’operato dei rinnovati Nokturnal Mortum in “To Lunar Poetry”, al perché quella che sulla carta poteva essere l’ennesima riproposta di una band slava del suo vecchio materiale sia invece il suo nuovo ed effettivo full-length; come pure uno in grado di rivaleggiare ad armi pari con qualunque capitolo discografico maggiore -recente e non- del collettivo di Kharkiv. Perché i cinque ucraini che suonano oggi brani come la nuovissima trionfalità della stessa “Lunar Poetry” e di “Carpathian Mysteries” sono sia gli stessi di “Verity” (i cui arrangiamenti e le cui capacità compositive, l’anima progressiva e le cui intuizioni sopraffine vivono cospirando sia nel profondo che nell’evidenza dei vecchi titoli reinventati – basti pensare ai rallentamenti intrisi di solennità dei due pezzi citati paragonati a quelli di una In The Boat With Fools) che gli stessi di “The Voice Of Steel” (il cui magniloquente stile è forse al contempo più facilmente udibile in questi nuovi brani piuttosto che nel passo che era stato fatto nel full del 2017), così come anche quelli del periodo fatto di tripudi sinfonici a doppie tastiere tra “Goat Horns” e “To The Gates Of Blasphemous Fire”, ora risplendenti tutti in canzoni che non vogliono semplicemente trovare nuova linfa ma vivono direttamente una vita tutta inedita: talmente singolare che il confronto diretto (probabilmente ingeneroso in partenza) con il materiale divenuto giustamente leggendario dal 1996 non solo fa sentire tutti e venticinque gli anni trascorsi, straordinariamente impietoso nei confronti del passato, ma fa svanire anche qualunque possibile nostalgia di sorta sotto il peso schiacciante della bravura attuale della band, nel risuonar di archi e cori in “…And Winter Becomes” e nel rullare sulle grancasse sinfoniche a rombare dal fondo del mix dell’epos tonante “Return Of The Vampire Lord” tra ottoni, strumenti tradizionali a fiato, dulcimer e sopilka.
I pezzi sono, da un lato, tutti ripresi dalle fondamenta e suonati esattamente dalla band come si trovasse in sala prove a replicare le fattezze di vecchio materiale, restituendo quindi con rispetto l’interezza dell’organicità che qualunque altro possibile approccio avrebbe fatto loro perdere senza scampo; ma dall’altro -e quasi magicamente, invero- il medesimo metodo (al netto di qualche melodia ormai divenuta iconica ma inevitabilmente molto più giovanile per gusto rispetto a cosa compone la band da zero oggi) non fa suonare il disco come l’attuale resa dal vivo di vecchi brani da parte di una band notevolmente distanziatasi da essi. Al contrario, con l’eccezione di una “Perun’s Celestial Silver” comunque trasformata in una cannonata senza precedenti (un classico evidentemente troppo grande e già troppo replicato dal gruppo negli anni per poterne fare una versione strutturalmente troppo distante dall’originale senza strafare), tutti i titoli selezionati e ricreati dai Nokturnal Mortum per la stesura di “To Lunar Poetry” sono rivoluzionati di peso da una formazione che riacquista sì lo stesso vecchio sangue che scorreva nelle vene dei suoi primi capitoli discografici della seconda metà degli anni ’90, ma che lo fa per riesplorare senza revivalismo una parentesi cruciale di percorso in un impensabile mélange di splendidi germi del passato ed identità estremamente presente, con le intenzioni sempre rivolte al proprio futuro di sperimentazione. Il vento che soffia in mezzo ai famigliari corni dell’introduzione “Freezing Dreams” è il medesimo che spira in “Tears Of Paganism”; le campane suonano a morto la medesima funebre melodia, eppure il risultato è qualcosa di estremamente nuovo e differente anche solo nel suo incipit, ancor prima di iniziare. Solo rivivendo più che risuonando e riregistrando quei pezzi, solo approcciandone le intuizioni melodiche come fossero nuova materia da cui farsi ispirare e con cui creare ab ovo si poteva rilasciare qualcosa di grande, qualcosa che non togliesse semplicemente polvere dalla superficie. Sopravvive così tutto il carattere spettrale, drammatico e oscuro di quelle sinfonie che sono il motivo primo d’originalità dei neonati Nokturnal Mortum post-“Twilightfall”, completate però dalla vitalità pura ed inadulterata di quel folklore nel 1996 ancora dormiente, eppure intravista e qui diversamente splendente nelle profondità di ogni tirata e ripresa di quelli che furono i momenti con ogni probabilità meno riusciti del demo, trasformati nei dieci minuti di grazia totale della già citata “Return Of The Vampire Lord” (un ponte tra possibili passati ed imprevedibili futuri in cui vengono superate con ferocia assassina le iniziali impraticabilità originarie con il rivivere spirituale di “Valkyrie”, e molto altro ancora) per non parlare del fuoco della novità e della poliedricità che ardono in una quanto mai accorata e sfavillante “Ancient Nation” o in una eclettica, altamente teatrale “Autodafe” oggi semplicemente incredibile; di fronte a queste diventa totalmente ininfluente qualunque legittima avversione ideologica e teorica personale di chi scrive -o ascolta- nei confronti della riregistrazione di un disco: perché, dal brano più nuovo a quello un po’ più fedele all’esecuzione e idea d’origine, tutti passano sopra con la loro eccellenza alla ritrosia a patto che questa non si tramuti in menzogna con sé stessi.

Ed ecco quindi che quando un lavoro inizialmente dimostrativo come fu “Lunar Poetry” diventa adatto più a comunicare un periodo, un momento nella carriera della band come nello sviluppo di un intero genere, piuttosto che ciò che le canzoni in esso contenuto volevano e vogliono trasmettere dal (e col) canto loro, giunge allora la necessità di “To Lunar Poetry”: vale a dire di renderle nuovamente in grado di comunicarsi all’ascoltatore in una nuova forma al contempo altra, che le renda insieme le solite e qualcos’altro ancora in un compendio di rilettura interna e ricontestualizzazione in un’inedita cornice esterna. Tutto questo e molto altro ancora è dunque “To Lunar Poetry”, sia per chi conosce la band dal 1996 che per coloro i quali vi si approccino soltanto oggi o da pochi album: non una nuova versione del caro, vecchio “Lunar Poetry” (con cui il nuovo parto non condivide in fondo nemmeno la tracklist) né una compilazione di prove giovanili in realizzazioni alternative. E gli esiti completamente stravolti e rivoluzionati in arrangiamento e creatività di esempi che, come sottolineato, fino ad oggi furono decisamente minori nel proprio catalogo -non solo per mezzi tecnici, adesso suona più che mai evidente- mostrano pertanto non una qualche diapositiva del passato come accade più solitamente nella tradizione culturale tutta slava della riregistrazione in ambito Black Metal, bensì quella dell’eterno presente in cui i Nokturnal Mortum vivono; quell’eterno presente magico che riesce a renderli protagonisti assoluti di un panorama anche quando suonano canzoni che, dal titolo, dovrebbero in teoria essere vecchie due decadi e mezza, e che all’esatto opposto suonano come non sono mai riuscite a fare prima d’ora, nonché parte inedita di uno dei migliori e più attuali album di quel coraggioso e testardo Black Metal sinfonico tra quelli usciti negli ultimi, svariati anni. Perché quando un artista dimostra, fedele al suo principio creativo con un disco quale “To Lunar Poetry”, di saper gareggiare ad armi pari col tempo, e per un solo e glorioso momento anche di saperlo sconfiggere, allora quello spirito reso da principio così vulnerabile nel tentativo di reincarnarsi non può, in realtà, veramente morire mai.

Matteo “Theo” Damiani

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